Confronto degli effetti delle cure provate su animali e clinicamente sull'uomo

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08/01/2007

Nel dicembre 2006 e' stato pubblicato sulla rivista British Medical Journal l'articolo "Confronto degli effetti delle cure provate su animali e clinicamente: una revisione sistematica". Gli autori hanno trovato ampie discordanze di risultati tra le prove su animali e quelle su umani.

Nella conclusione affermano "I risultati discordanti tra gli studi su animali e quelli su umani possono essere dovuti o a bias (convinzioni a priori che portano alla distorsione dei risultati) o all'incapacita' dei modelli animali di riprodurre le malattie cliniche in modo adeguato".

L'obiettivo dei ricercatori e' stato quello di "esaminare la concordanza tra gli effetti delle cure negli esperimenti sugli animali e nei test clinici". Infatti, l'utilizzo di animali come "modello" per le malattie umane e' una prassi che si fa "per tradizione", ma che non ha mai subito un reale processo di convalida (cosi' come anche avviene per i test di tossicita' delle sostanze chimiche eseguiti su animali: non sono mai stati in alcun modo convalidati per stabilirne la reale efficacia), e quindi sono piu' che mai necessarie queste "revisioni sistematiche" che confrontano i risultati ottenuti su animali con quelli ottenuti su umani per lo stesso tipo di farmaco (o altro genere di cura).

Nell'articolo, gli autori mettono a confronto i risultati di varie cure sperimentali effettuate come test clinici (pubblicati su riviste medico-scientifiche) con quelli delle corrispondenti cure effettuate su modelli animali. Il confronto e' stato eseguito su sei cure scelte a priori, di cui si conoscevano i risultati sugli umani, e in seguito sono stati cercati tutti i possibili studi su animali condotti sulle stesse cure sperimentali. Le sei cure selezionate sono state: corticosteroidi nei traumi cranici, antifibrinolitici nelle emorragie, trombolisi nell'ictus ischemico acuto, tirilazad nell'ictus ischemico acuto, uso dei corticosteroidi prima della nascita per la prevenzione della sindrome respiratoria neonatale, bisfosfonati per prevenire e curare l'osteoporosi.

Gli autori affermano "La nostra revisione sistematica fornisce indicazioni sulla limitatezza dei modelli animali, e sulla loro incapacita' di rappresentare le corrispondenti malattie negli umani". I risultati nei sei casi esaminati (per ciascun caso sono stati esaminati molti articoli della letteratura scientifica) sono stati vari: in tre casi ci sono stati risultati simili, in altri tre casi no. In sostanza, un po' come tirare una moneta: 50% di possibilita' di avere risultati su animali congruenti con quelli sugli umani!

I ricercatori affermano inoltre "Gli studi su animali erano di scarsa qualita', con evidenti segni di bias (convinzioni a priori che portano alla distorsione dei risultati) e quindi anche i nostri confronti che mostrano concordanza tra i dati possono essere non significativi". Riguardo ai risultati che mostrano discordanza, gli autori scrivono: "Per gli antifibrinolitici nelle emorragie, i test clinici hanno mostrato delle prove evidenti di beneficio, nonostante la mancanza di qualsiasi dato affidabile dai modelli animali". "Abbiamo anche trovato una differenza nei risultati dell'uso di tirilazad per curare l'ictus. I dati provenienti dai test su animali suggerivano un effetto benefico della cura, ma i dati clinici non hanno mostrato alcun beneficio, ma invece possibili danni". I corticosteroidi usati come cura nei traumi cranici non hanno mostrato alcun effetto positivo nelle prove cliniche, ma si sono mostrati invece efficaci nei modelli animali.

Per quanto riguarda l'uso dei corticosteroidi prima della nascita, si e' trovata una congruenza solo parziale tra modelli animali e realta' clinica: questa cura riduce i problemi respiratori e la mortalita' nei neonati, mentre nei modelli animali i problemi respiratori erano ridotti ma non c'era alcuna evidenza di effetti sulla mortalita'.

Un'altra osservazione importante che compare nell'articolo e': "Che ci sia un divario tra la ricerca clinica e la pratica clinica e' cosa ben nota. Il nostro lavoro evidenzia un altro divario, la mancanza di comunicazione tra chi fa ricerca su animali e chi fa ricerca clinica". In sostanza, quindi, ognuno va per la sua strada: chi compie la vera ricerca, quella clinica, che, assieme a quella epidemiologica, fa avanzare la scienza, non prende in considerazione i risultati ottenuti su animali, il che e' giusto, perche' potrebbero essere fuorvianti, ma allora, PERCHE' fare questi esperimenti? Perche' cosi' si usa, perche' vengono raramente messi in discussione, perche' ottengono piu' fondi della ricerca clinica, perche' sono piu' facili da portare avanti (meglio gestire una gabbietta di topi che aver a che fare con persone, che necessitano di spiegazioni, cure, interazioni, ecc.), sono piu' veloci e vengono pubblicati allo stesso modo!

Gli autori dell'articolo concludono auspicando una maggior collaborazione tra il mondo della ricerca clinica e quello dei test su animali, e suggerendo che i risultati sugli umani dovrebbero servire a modificare il "modello animale" per "adattarlo meglio" al contesto umano. Il che significa semplicemente ammettere che il modello animale non serve a nulla, ed e' solo in base ai risultati sugli umani che puo' essere convalidato o modificato... ma se dobbiamo attendere comunque il risultato sugli umani, cosa li facciamo a fare i test su animali? Per aumentare il numero di articoli pubblicati?

Quel che e' imperativo fare e' abbandonare per sempre il dogma del "modello animale", per non sprecare piu' tempo e fondi che potrebbero invece essere usati per ricerche serie.

Marina Berati, gennaio 2007

Fonte:
British Medical Journal, "Comparison of treatment effects between animal experiments and clinical trials: systematic review", BMJ, doi:10.1136/bmj.39048.407928.BE (published 15 December 2006)
http://www.bmj.com/cgi/rapidpdf/bmj.39048.407928.BEv1.pdf

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