Impedita proiezione di un film-denuncia

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05/06/2009

Raccontare la verita' sugli allevamenti intensivi da' fastidio...

Al Guardian Hay Festival (un festival all'aperto organizzato dal quotidiano The Guardian e dedicato alla letteratura e all'ambiente) doveva essere presentato il documentario "Pig Business", un'inchiesta sugli allevamenti intensivi di maiali, ma la proiezione e' stata bloccata da una minaccia di azione legale da parte dell'industria sotto inchiesta. Si tratta della Smithfield Foods, una multinazionale con circa 60.000 dipendenti in tutto il mondo e 26 milioni di maiali ammazzati ogni anno, e che - manco a dirlo - sul proprio sito vanta la massima attenzione al "benessere animale".

Da un articolo del Guardian apprendiamo che questo documentario, Pig Business, doveva gia' andare in onda in televisione, ma anche li' e' stato bloccato in quanto i legali dell'azienda l'hanno riconosciuto come diffamatorio e contenente "affermazioni non corripondenti al vero". Stessa sorte per un altro tentativo di proiezione al Frontline Club di Londra all'inizio dell'anno. Una proiezione al London's Barbican e' stata sospesa e poi sbloccata solo quando la regista ha acconsentito a firmare una dichiarazione in cui si assumeva personalmente la responsabilita' dei contenuti del film.

Un portavoce della Smithfield ha dichiarato che l'azienda non ha mai minacciato di citare il produttore o cercato di impedirne la proiezione, ma aveva solo richiesto di correggere le inesattezze e rimuovere le falsita' che - a loro dire - il documentario contiene. Una versione rivista del documentario non e' stata pero' ancora visionata dalla Smithfield.

Questo documentario-inchiesta racconta come i maiali vengono tenuti in condizioni analoghe a quelle delle galline in batteria, del problema delle deiezioni non adeguatamente smaltite, dei risvolti sanitari quali asma e problemi digestivi che colpiscono le persone che vivono nei pressi di questi stabilimenti e non ultimo il recentissimo caso dell'influenza suina i cui risvolti e possibili sviluppi non sono affatto chiari. Cose non nuove, in particolare per questa azienda che e' gia' stata pesantemente multata proprio per l'inquinamento causato dai suoi allevamenti.

Casi di questo genere, in cui enormi multinazionali attaccano piccoli produttori o editori che hanno la colpa di rivelare cosa succede davvero nei loro stabilimenti, non sono rari. Basti ricordare la querelle legale che ha accompagnato la pubblicazione (censurata) dei "Diari della disperazione", uno sconvolgente rapporto a cura di Uncaged Campaign sulle ricerche sugli xenotrapianti condotte dalla Imutran (Novartis) nel 2000.

"Pig business" e' sponsorizzato da "Compassion in world farming" un'associazione il cui motto recita: "Crediamo che gli animali da fattoria non dovrebbero soffrire e che la loro sofferenza non sia necessaria". Un'associazione decisamente moderata, quindi, ma le multinazionali dello sfruttamento animale non gradiscono ugualmente.

Al di la' dello sdegno verso le smithfield di turno e della solidarieta' per il lavoro, comunque importante, di informazione e denuncia degli autori di questo documentario, bisogna chiedersi quanto di realistico, prima ancora che di eticamente accettabile, c'e' nell'idea di "allevamento compassionevole".

Nel sito del film campeggia la scritta "Conosci il vero costo della carne a buon mercato?". Si': ha il prezzo della sofferenza e della vita di centinaia di milioni di animali, perche' la carne, come il latte, le uova e la lana, comporta sempre - e inevitabilmente - l'uccisione degli animali.

Va aggiunto, pero', che TUTTA la carne, anche quella "non a buon mercato" costa la sofferenza e la vita degli animali, perche' la fine degli animali, in qualsiasi tipo di allevamento, e' sempre e comunque il macello, ed inoltre non e' concretamente praticabile porre un limite alla violenza intrinseca dell'allevamento. Ed e' surreale discutere di una pena di morte "umana".

Denunciare, come abbiamo ragione di pensare faccia questo film, la brutalita' dell'allevamento intensivo, i suoi effetti devastanti sull'ambiente, sulla salute e sulla stessa economia rurale deve servire a mostrare come sia impossibile continuare a mangiare carne nelle quantita' attuali e allo stesso tempo salvaguardare l'ambiente e un minimo rispetto per gli animali finche' sono in vita (la morte, ovviamente, non e' mai possibile evitarla).

Pensare che esistano allevamenti meno distruttivi mantendendo invariato il consumo di carne significa prendere in giro noi stessi. Meno impatto - sull'ambiente e sugli animali - si puo' avere solo se diminuisce drasticamente il numero di animali allevati, e quindi se si diminuiscono i consumi di carne, pesce, latte, uova.

Bisogna comunque rendersi conto che l'unico modo per evitare la sofferenza agli animali "da reddito" e' lavorare perche' non esistano piu' animali "da reddito". E questo e' un "lavoro" che ognuno di noi puo' fare: scegliendo di non mangiare animali e aiutando gli altri a fare questa stessa scelta.

E' spiegato passo-passo come fare nel sito VegFacile.info

Fonte:
The Guardian, Documentary on intensive pig farming faces legal threat, 29 maggio 2009

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